All'origine del cap
La cerimonia di consegna del cap, quel curioso copricapo che rende gli enormi rugbisti moderni così buffi e sorridenti, è il rito che segna il debutto sulla scena internazionale di ogni giocatore selezionato per indossare la maglia del proprio Paese. Il loro sorriso è ben giustificato, questo oggetto rappresenta allo stesso tempo l'apice della carriera e l'inizio di un cammino che si augurano di percorrere il più a lungo possibile.
La tradizione e la simbologia che si celano dietro a questo cimelio mi hanno sempre affascinato alimentando la voglia di sapere di più sulla sua origine e sul suo uso primario, quindi per placare la mia curiosità mi sono immerso nella ricerca, diradando piano piano le nebbie del Tempo per tornare dove tutto ebbe inizio, sul prato della Rugby School, a quasi vent'anni di distanza dal giorno della genesi ovale.
Su quel terreno, in un pomeriggio del 1839, stavano in riga i migliori giocatori che i college della città potessero schierare, pronti ad onorare con una partita dimostrativa la presenza sugli spalti della regina madre Adelaide, spintasi nella cittadina delle Midlands per vedere dal vivo questo nuovo sport che si stava rapidamente diffondendo in tutta l'Inghilterra.
Tra quei quaranta giovani (al tempo si giocava ancora in venti per squadra) impettiti e fieri nel saluto alla regale maestà, alcuni indossavano un buffo berretto con la tesa minuscola e la nappa penzolante, unico segno distintivo per stabilire chi appartenesse ad una o all'altra squadra.
Fu per questo che venne ideato il cap, essere di aiuto ai giocatori nel riconoscere i compagni dagli avversari in un tempo in cui le divise da gioco non esistevano ed i raggruppamenti e le mischie diventavano una massa indistinta di corpi avvinghiati.
In quel tipo di gioco profondamente diverso dallo stile odierno, il privilegio di indossare il cap era riservato soltanto ai "forwards", gli attaccanti che portavano avanti la palla e che erano più esperti dei "goalkeepers", ruolo di solito ricoperto dai novizi della squadra, i quali non indossavano alcun segno di riconoscimento.
Per loro l'unico modo di ottenere una "promozione" era dimostrare il proprio valore sul campo e solo allora veniva concesso l'onore di indossare il prezioso cimelio.
Se vi fosse o meno un rituale che sanciva questo passaggio non è dato sapersi, non ci sono testimonianze in merito, ma sicuramente doveva essere un evento dallo spiccato valore simbolico che serviva a consolidare l'appartenenza al club. Per questo, immagino che fosse il capitano a portare personalmente il cimelio ai prescelti nei giorni antecedenti la partita, come usa fare ancora oggi lo skipper della squadra di Cambridge con le convocazioni per il Varsity Match.
Anche se dalla metà del XIX secolo l'uso del berretto andò scemando soppiantato dalla graduale diffusione delle divise da gioco, rendendo così più agevole il riconoscimento degli atleti, il suo valore intrinseco rimase intatto come l'usanza di consegnarlo ai giocatori prima di ogni selezione. E anche quando, con il tempo, la consegna "fisica" venne meno, si continuò ad utilizzare il termine cap per indicare le presenze collezionate dagli atleti, ad ulteriore prova dell'importanza che detiene questo oggetto per il mondo della palla ovale.
Ancora oggi, a quasi due secoli dalla prima testimonianza scritta del suo impiego, il cap rimane un oggetto prestigioso che racchiude e tramanda la tradizione del proprio club ed della propria nazionale. Molte "union" lo hanno riscoperto, così come i British & Irish Lions e World Rugby, che ha reso la consegna dei cappellini parte integrante del cerimoniale di ogni edizione della Coppa del Mondo.
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